Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 6617 del 6 giugno 1994

(2 massime)

(massima n. 1)

All'imputato agli arresti domiciliari con modalità esecutive che gli consentono di allontanarsi dalla propria abitazione per adempiere le finalità per cui l'allontanamento è stato autorizzato che faccia ritorno con ritardo nella sua abitazione senza tenere alcun comportamento assimilabile alla costituzione in carcere, quale il consegnarsi all'autorità che ha il compito di provvedere alla sua successiva traduzione, non è applicabile la circostanza attenuante prevista dall'art. 385, comma 4, c.p.

(massima n. 2)

All'imputato agli arresti domiciliari con modalità esecutive che gli consentono di allontanarsi dalla propria abitazione per il tempo necessario ad adempiere la finalità per cui l'allontanamento è stato autorizzato, non è applicabile analogicamente l'art. 30, comma 3, della L. n. 354 del 1975 che, per il condannato con sentenza definitiva, titolare di un permesso, che non rientri in istituto, rende operante la disposizione dell'art. 385 c.p. solo se l'assenza si protragga oltre le dodici ore. E ciò in quanto, mentre il condannato in permesso fruisce solo episodicamente del beneficio, l'imputato agli arresti domiciliari (da considerare a tutti gli effetti in stato di custodia cautelare: v. art. 284, comma 5, c.p.p.) lo utilizza sistematicamente, come modalità esecutiva della misura ma strettamente connaturata alla misura stessa; cosicché è sufficiente che il ritardo si protragga in modo apprezzabile, da valutare caso per caso, perché resti integrato il delitto di evasione.

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