Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 26910 del 20 luglio 2005

(2 massime)

(massima n. 1)

Non configura il reato di favoreggiamento personale la condotta del medico che, chiamato ad assistere un latitante, si limiti a fare la diagnosi della malattia e a indicare la relativa terapia, senza porre in essere condotte «aggiuntive» di altra natura, che travalicando il dovere professionale del sanitario di assicurare la tutela della salute del cittadino, contribuiscano a fare eludere la persona assistita alle investigazioni o alle ricerche dell'autorità. (Nella specie, la Corte ha escluso che la mancata registrazione in atti privati o in atti pubblici della visita effettuata da parte del medico costituisca condotta «aggiuntiva» quindi rilevante ai fini del reato di favoreggiamento, in quanto, da un lato, non risulta violato l'obbligo del referto — nel caso non richiesto —, dall'altro l'omissione può, al limite, dare luogo ad una mera irregolarità amministrativa, che prescinde dalla qualità del soggetto cui l'assistenza è stata prestata).

(massima n. 2)

Non può dar luogo alla configurabilità del reato di favoreggiamento personale la condotta del sanitario il quale, ancorché operante in una struttura pubblica, si limiti a prestare assistenza medica ad un latitante che ne abbia necessità, sempre che detta assistenza non esorbiti dai limiti della diagnosi e della terapia, con condotte «aggiuntive» (fra le quali non può annoverarsi la semplice mancata registrazione della visita) soggettivamente ed oggettivamente finalizzate a far sì che il soggetto assistito eluda le investigazioni dell'autorità e si sottragga alle ricerche della medesima.

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