Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 277 del 27 marzo 1993

(1 massima)

(massima n. 1)

Il delitto di corruzione, attiva o passiva (artt. 318, 319 c.p.), può sussistere se ed in quanto il patto di corruzione coinvolga il pubblico ufficiale (o l'incaricato di pubblico servizio). Ne consegue che, ogni qual volta vi sia un intermediario, l'azione corruttrice non deve arrestarsi a quest'ultimo, ma deve, quanto meno, essere nota al pubblico ufficiale competente ad emettere l'atto di mercimonio; deve, cioè, potersi ricavare univocamente dai fatti il consenso del pubblico ufficiale (o dell'incaricato di pubblico servizio) alla pattuizione illecita. (Nella specie, la Corte ha rigettato il ricorso del difensore, in fase di indagini preliminari, avverso provvedimento cautelare coercitivo per il reato di corruzione — in cui non era ancora identificato il pubblico ufficiale, ma erano accertate la corresponsione di danaro al partito politico cui il pubblico ufficiale era legato e l'aggiudicazione di appalti agli indagati erogatori delle somme — motivato sulla esistenza, ritenuta gravemente indiziante, di un nesso causale inscindibile tra le prestazioni in danaro e l'aggiudicazione degli appalti).

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