Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 10851 del 17 dicembre 1996

(5 massime)

(massima n. 1)

Atteso il principio secondo il quale l'ufficio del procuratore della Repubblica si incarna in tutti i suoi componenti, senza che occorra, verso i terzi, una delega formale del titolare, è da escludere che costituisca causa di nullità del dibattimento e della conseguente sentenza la mancanza di una formale designazione, da parte del procuratore della Repubblica, ai sensi dell'art. 70 dell'ordinamento giudiziario, del magistrato del pubblico ministero che ha partecipato all'udienza dibattimentale.

(massima n. 2)

Il reato di favoreggiamento personale è di pura condotta, la quale, tuttavia, per costituire «aiuto» alla elusione delle investigazioni dell'autorità, deve essere potenzialmente idonea al conseguimento di un tale risultato e deve, inoltre, essere consapevolmente diretta ad inserirsi nell'ambito operativo di detta autorità, pur non essendo poi necessario che quest'ultima sia effettivamente fuorviata. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la S.C. ha escluso che costituisse favoreggiamento il semplice fatto che taluno avesse dato avviso ad un soggetto sottoposto a indagini per il reato di concussione dell'avvenuta effettuazione di una perquisizione in uno studio professionale, non essendo risultato che, a seguito di tale informazione, l'indagato avesse poi compiuto alcuna attività di ostacolo alle indagini, né che questo fosse stato lo scopo perseguito dall'informatore.

(massima n. 3)

In tema di concussione o corruzione, così come il reato, pur potendosi consumare con la sola promessa di danaro o altra utilità da parte del privato nei confronti del soggetto pubblico, rimane unico quando alla promessa segua poi l'effettiva dazione, con spostamento in avanti del momento consumativo, in coincidenza con la dazione medesima, allo stesso modo deve ritenersi che rimanga unico il reato, con spostamento, anche in questo caso, in avanti del momento consumativo, quando ad una prima promessa, in luogo della dazione, seguano altre promesse aventi sempre il medesimo oggetto.

(massima n. 4)

In tema di distinzione fra concussione e corruzione, premesso che la prima di dette figure di reato è caratterizzata dal metus publicae potestatis, per cui, di regola, il concusso certat de damno vitando mentre, nella corruzione, il corruttore certat de lucro captando, deve ritenersi che sussista il reato di concussione ogni qual volta vi sia, da parte del soggetto investito di qualifica pubblicistica, la prospettazione di un danno ingiusto, evitabile soltanto con l'indebita dazione o promessa di danaro o altra utilità da parte del privato, nulla rilevando che anche quest'ultimo possa, a sua volta, sperare di trarre da ciò un vantaggio, sempre che, tuttavia, si tratti di un vantaggio costituito da utilità alle quali il privato avrebbe potuto legittimamente aspirare anche prima dell'intervento del soggetto pubblico, ed al quale sarebbe altrimenti costretto a rinunciare, costituendo proprio tale forzata rinuncia l'oggetto della prospettazione di danno ingiusto da parte del concussore. Per converso, se il lucrum captandum da parte del privato non sia soltanto l'effetto naturale della mancata realizzazione del danno ingiusto, ma costituisca la finalità esclusiva o prevalente del favore offerto dal soggetto pubblico o a lui richiesto, ponendosi l'accordo fra le parti in termini di sinallagmaticità e, quindi, di libera contrattazione, con esclusione di ogni soggezione del privato nei confronti del soggetto pubblico, il reato configurabile risulta quello di corruzione.

(massima n. 5)

La corruzione cosiddetta «impropria», di cui all'art. 318 c.p., è configurabile non soltanto con riguardo agli atti vincolati del pubblico ufficiale, ma anche con riguardo a quelli discrezionali, sempre che questi non siano contrari ai doveri d'ufficio, indipendentemente dall'indebita retribuzione la quale, di per sé, comportando violazione del solo dovere «esterno» che impone di non accettarla, e non anche del dovere «interno», che impone di rispettare le regole che presiedono all'emanazione dell'atto, non implica necessariamente contrarietà dell'atto medesimo ai doveri d'ufficio, ben potendo esso risultare comunque idoneo alla miglior soddisfazione dell'interesse pubblico, sì da poter essere considerato, in effetti, al pari dell'atto vincolato, come l'unico possibile. Per converso, quando l'indebita retribuzione, o la relativa promessa, siano finalizzate a far sì che la facoltà discrezionale sia esercitata in modo difforme da quello altrimenti suggerito dall'equilibrata e disinteressata valutazione della situazione concreta, si sarà in presenza di corruzione cosiddetta «propria», cioè per atti contrari ai doveri d'ufficio.

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