Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 3022 del 26 marzo 1996

(2 massime)

(massima n. 1)

Con riguardo al criterio di distinzione tra il reato di concussione e quello di corruzione, occorre fare riferimento al programma prospettato dal pubblico ufficiale ed al contenuto dell'assetto di interessi delineato nella richiesta, il tutto anche a prescindere dal verificarsi o no del danno per il privato, e ciò in quanto il distinguo è determinato dalla causa della dazione o della promessa dalla quale deriva — solo nei casi in cui questa costituisca il mezzo per evitare un pericolo di danno in conseguenza dell'atto decisivo — quel rapporto di soggezione che contrassegna il reato di cui all'art. 317 c.p. Pertanto, qualora venga in considerazione il tentativo di concussione le esigenze teleologiche alla base dell'intervento repressivo devono incentrarsi esclusivamente sulla condotta del pubblico ufficiale, senza che assuma rilievo il fatto che tale soggetto abbia concretamente creato uno stato di timore nel privato, occorrendo solo verificare l'oggettiva efficacia intimidatoria del comportamento del soggetto attivo.

(massima n. 2)

In tema di concussione i connotati della condotta di «induzione» sfuggono alla possibilità di una rigorosa delimitazione in chiave descrittiva attraverso predeterminate regole semantiche, potendo essi enuclearsi tanto a mezzo di simboli quanto a mezzo di segnali, entrambi idonei a creare quel timore nel soggetto passivo in grado di indurlo all'atto di disposizione. In tale ottica può ravvisarsi il delitto di concussione anche se è stata la stessa vittima ad offrire l'utilità al pubblico ufficiale ed anche se, pur mancando una esplicita minaccia, il privato si sia determinato a tenere un comportamento, che liberamente non avrebbe assunto, per il timore di subire un danno.

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