Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 8009 del 24 agosto 1993

(4 massime)

(massima n. 1)

Il peculato d'uso può configurarsi solo in relazione a cose di specie e non a cose di quantità, poiché con riferimento a queste ultime non sarebbe possibile la restituzione della eadem res ma solo del tantundem, che è irrilevante ai fini dell'integrazione del reato de quo. (La Cassazione ha evidenziato che una conferma del principio di cui in massima si trae proprio dal disposto del secondo comma dell'art. 314 c.p. che circoscrive il peculato d'uso ai soli casi di uso momentaneo della cosa mobile, senza fare menzione del denaro).

(massima n. 2)

Il reato di peculato di cose di quantità, di genere o fungibili, si consuma nel momento in cui l'agente si appropria delle cose ed è irrilevante ai fini della sua configurabilità che questi abbia sostituito, anche contestualmente, la cosa di cui si è appropriato con altra di egual tipo, caratteristiche e valore. La restituzione del tantundem, infatti, non solo non influenza la lesione, già verificatasi, dell'interesse al buon andamento della pubblica amministrazione, ma non elide neppure la lesione dell'altro interesse tutelato, relativo all'integrità patrimoniale della pubblica amministrazione. (La Cassazione ha altresì rilevato che la legittimità della sostituzione del bene da parte dell'agente passa necessariamente attraverso il consenso dell'avente diritto, ai sensi dell'art. 1197 c.c.).

(massima n. 3)

L'appropriazione nel delitto di peculato, si realizza con l'inversione del titolo del possesso da parte del pubblico ufficiale, che comincia a comportarsi uti dominus nei confronti del bene del quale ha appunto il possesso in ragione del suo ufficio. Siffatta nozione di appropriazione è rimasta invariata anche dopo la L. n. 86 del 1990 (recante modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione), sicché non può evocarsi la diversa figura di reato prevista dal secondo comma dell'art. 323 c.p. qualora il denaro o la cosa della pubblica amministrazione siano stati appunto convertiti in proprietà del pubblico ufficiale o di altri.

(massima n. 4)

La natura plurioffensiva del reato di peculato importa che l'eventuale mancanza di danno patrimoniale conseguente all'appropriazione non esclude la sussistenza del reato, atteso che rimane pur sempre leso dalla condotta dell'agente l'altro interesse — diverso da quello patrimoniale — protetto dalla norma, e cioè il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione). (Nella specie il radiologo di un ospedale aveva distratto a favore di terzi delle lastre radiografiche di proprietà della Usl sostituendole con altre di marca diversa, prossime alla scadenza, che peraltro erano state utilizzate nell'ospedale medesimo prima della scadenza; il giudice di appello aveva ritenuto che la mancanza di un pregiudizio economico per la Usl e la fungibilità fra le varie lastre comportasse l'insussistenza del reato, ma la Cassazione ha censurato tale assunto, sulla scorta, tra l'altro, del principio di cui in massima).

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