Cassazione penale Sez. V sentenza n. 1926 del 21 giugno 2000

(1 massima)

(massima n. 1)

Il fallimento priva il fallito dell'amministrazione e della disponibilitā dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione del fallimento trasferendo l'una e l'altra alla curatela, tenuta alla gestione del patrimonio ai fini di soddisfacimento dei creditori; detta privazione (il c.d. spossessamento) non si traduce tuttavia in una perdita della proprietā in capo al fallito e si risolve, invece, nella destinazione della totalitā dei beni a soddisfare i creditori, oltre che nell'assoluta insensibilitā del patrimonio all'attivitā svolta dall'imprenditore successivamente alla dichiarazione di suo fallimento. Alla curatela fallimentare, che ha un compito esclusivamente gestionale e mirato al soddisfacimento dei creditori, non si attaglia pertanto il concetto di appartenenza. Ne consegue la legittimitā del sequestro preventivo disposto sui beni del fallito in forza della disposizione di cui al secondo comma dell'art. 321 c.p.p., relativo alla sottoponibilitā a sequestro delle cose di cui č consentita la confisca ex art. 240 c.p. (Nella fattispecie la Corte ha rigettato il ricorso del curatore circa la applicabilitā del terzo comma dell'art. 240 c.p. sulla non confiscabilitā delle cose appartenenti all'estraneo).

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