Cassazione penale Sez. I sentenza n. 2612 del 21 marzo 1985

(3 massime)

(massima n. 1)

L'aberratio ictus plurioffensiva costituisce sotto il profilo soggettivo, un minus rispetto alla corrispondente ipotesi di concorso formale di reati, presentando la caratteristica che delle due offese cagionate, una deve essere dal soggetto voluta, mentre l'altra tale non deve essere neppure nella forma estrema del dolo eventuale ai limiti della colpa con previsione dell'evento. Se, infatti, per quest'ultima offesa, dovesse, comunque versarsi in tema di dolo indiretto, si ricadrebbe inevitabilmente nell'ipotesi del concorso formale dei reati.

(massima n. 2)

La possibilità della scissione della pena inflitta in regime di cumulo giuridico prevista dall'art. 7 del D.P.R. n. 413 del 1978 e dell'art. 8 del D.P.R. n. 744 del 1981 onde consentire l'applicazione dell'indulto sia in ordine al concorso formale dei reati che al reato continuato, è sicuramente estensibile - per applicazione analogica in bonam partem certamente consentita per essere la stessa la ratio degli istituti in questione tutti ispirati al favor rei - alla pena inflitta per l'aberratio ictus plurioffensiva.

(massima n. 3)

Secondo il sistema originariamente delineato dal codice Rocco, la disciplina sanzionatoria del cumulo giuridico (pena stabilita per il reato più grave, aumentata fino alla metà) prevista per l'aberratio ictus con offesa anche di persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta, era ispirata ad un minor rigore rispetto al trattamento sanzionatorio del cumulo materiale (tot crimina, tot poenae) adottato in via generale per ogni ipotesi di concorso formale di reati e trovava la sua base razionale nel rapporto di genere a specie esistente tra le corrispondenti fattispecie. Tale rapporto è stato sostanzialmente conservato dalla «novella» del 1974, che ha assoggettato al sistema del cumulo giuridico ogni ipotesi di concorso formale di reati, prevedendo l'aumento fino al triplo della pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave. La circostanza che, secondo il sistema originariamente delineato dal legislatore del 1930, delle due offese costituenti la struttura dell'aberratio ictus plurioffensiva, una — ossia quella risultata più grave, che, però, in ipotesi, potrebbe essere anche quella non voluta — fosse imputata al suo autore a titolo di dolo, mentre l'altra offesa gli era attribuita a titolo di responsabilità oggettiva sulla mera base di un adeguato rapporto di causalità ed indipendentemente da ogni accertamento in ordine all'elemento soggettivo, non significa che nel mutato contesto normativo in cui l'istituto è inserito, non si debba oggi considerare, in relazione alle singole — e non tutte riconducibili ad unità — modalità del caso di specie, l'effettivo titolo di imputazione di ciascuna offesa, per farne scaturire conseguenze sicuramente oggi previste dalla legge.

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