Cassazione penale Sez. I sentenza n. 4836 del 16 maggio 1985

(1 massima)

(massima n. 1)

Il criterio distintivo tra l'omicidio preterintenzionale e quello volontario va individuato nella diversità dell'elemento psicologico. Nel primo, dove è voluto solo l'evento minore (percosse o lesioni) e non è, invece, voluto l'evento più grave (morte), che pur costituisce conseguenza diretta della condotta dell'agente, l'elemento psicologico è costituito dal dolo, riferibile all'evento minore e misto a colpa, che è in relazione all'evento maggiore. Nondimeno, se queste componenti siano insussistenti o restino comunque escluse, l'omicidio deve qualificarsi volontario se l'agente abbia voluto anche l'evento più grave; e ciò si realizza sia nel caso che l'agente se lo sia rappresentato come conseguenza diretta della propria azione od omissione (dolo diretto) sia quando se lo sia rappresentato come indifferente rispetto a quello di lesioni (dolo indiretto alternativo) ovvero anche nell'ipotesi che se lo sia configurato come probabile o opinabile e, ciononostante, abbia agito anche a costo di cagionarlo, così accettandone il rischio e, in definitiva, mostrando di volerlo cagionare (dolo indiretto eventuale). Ne consegue che l'agente, il quale nel corso di un litigio con altro individuo, aggredisca quest'ultimo, adoperando un robusto e pesante bastone e lo colpisca in maniera reiterata verso le parti vitali dell'organismo anche dopo che questo sia caduto a terra dopo i primi colpi, commette omicidio volontario e non già omicidio preterintenzionale, in quanto si è quantomeno potuta rappresentare la morte dell'avversario quale conseguenza della propria azione criminosa.

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