Cassazione penale Sez. I sentenza n. 11394 del 13 novembre 1991

(7 massime)

(massima n. 1)

Il criterio distintivo tra il delitto di strage e quello di incendio e gli altri delitti contro la pubblica incolumità è costituito dal fine di uccidere: l'incendio, quando sia stato determinato dal fine di uccidere, integra sempre il delitto di cui all'art. 422 c.p., anche quando non sia stata cagionata la morte di alcuno. La sussistenza del fine di uccidere, inoltre, esclude, per definizione, che il fatto integri la fattispecie del delitto di danneggiamento mediante incendio, nel quale il dolo è costituito dal fine - che deve essere esclusivo - di danneggiare la cosa altrui.

(massima n. 2)

Il delitto di strage consiste nel fatto di chi, al fine di uccidere, compie atti concretamente idonei a porre in pericolo la pubblica incolumità, intesa come il bene della sicurezza della vita e dell'integrità fisica, riferita non già ad una o più persone, ma alla collettività nel suo insieme, come bene di tutti e di ciascuno. Nel delitto di strage il pericolo per la pubblica incolumità, contrariamente a quanto si afferma dal ricorrente, costituisce l'evento del delitto, è elemento essenziale del reato e, in quanto tale, deve essere previsto e voluto dall'agente, come conseguenza degli atti - commissivi od omissivi - posti in essere, (dolo generico). Pertanto non è condizione oggettiva di punibilità che è fatto esterno al reato, il cui verificarsi è del tutto indipendente dalla volontà dell'agente, e ne condiziona esclusivamente la punibilità.

(massima n. 3)

Il delitto di strage si realizza con il verificarsi del pericolo per la pubblica incolumità, che ne costituisce l'evento, mentre la morte di una o più persone è una circostanza aggravante, ed influisce esclusivamente sul quantum di pena.

(massima n. 4)

Il reato di strage è un reato a consumazione anticipata, che non ammette il tentativo: per la consumazione del delitto è sufficiente che il colpevole compia atti che abbiano l'idoneità a cagionare una situazione di concreto pericolo per il bene tutelato e, quindi, si considera come delitto consumato un comportamento, che, senza tale specifica previsione normativa, potrebbe configurare una ipotesi di tentativo. In altre parole, la fattispecie consumata del delitto di strage presenta la stessa struttura del delitto tentato, ma è punita come delitto consumato, in considerazione dell'importanza degli interessi, che essa tende a tutelare.

(massima n. 5)

La premeditazione è, in linea generale, compatibile con la seminfermità mentale. Il vizio parziale di mente può, tuttavia, portare ad escludere la premeditazione, quando attraverso la disamina e la valutazione critica della perizia psichiatrica e di tutti gli elementi in suo possesso, il giudice accerti che la diminuita capacità di intendere e di volere dell'agente ha influito, in modo determinante, sul modo di essere del suo atteggiamento psicologico, sotto il profilo della consapevole e voluta persistenza nel tempo della volontà criminosa e della sua capacità di comprendere il significato dei propri atti e di superare attraverso la revisione critica e la riflessione, le spinte criminogene, che si identificano con i caratteri e l'essenza dell'infermità, debitamente accertati.

(massima n. 6)

La rilevanza della condotta - il delitto di strage è un reato a forma libera - è determinata esclusivamente dall'effettiva idoneità a porre in pericolo la pubblica incolumità. Le modalità dell'azione possono essere le più varie, e ricomprendono anche quelle condotte che potrebbero integrare gli estremi di altri delitti. Il delitto di strage richiede, come esattamente ha ritenuto la sentenza gravata, anche, il dolo specifico, consistente nella finalità di uccidere una o più persone e costituisce l'elemento che consente di distinguere tale delitto, da quello di incendio o di altri reati che potrebbero essere integrati dalla condotta dell'agente.

(massima n. 7)

Nell'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 422 c.p. il giudice può ritenere il delitto di strage quando, per i mezzi usati, per la loro potenzialità offensiva e per le specifiche modalità di impiego di essi, e alla stregua di tutti gli elementi di prova acquisiti al processo, l'incendio sia chiaramente rivelatore dell'intenzione di causare la morte di una o più persone, perché, in tal caso, il fine di uccidere può ritenersi, indipendentemente dal fine ultimo dell'azione: in tale ipotesi, infatti, non si tratta di ritenere sufficiente il dolo eventuale - che è incompatibile con quella forma di dolo che è il dolo specifico - ma di desumere la prova di un fattore interno e soggettivo, quale è la finalità di uccidere, dalle caratteristiche estrinseche della condotta criminosa.

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