Cassazione penale Sez. I sentenza n. 686 del 17 maggio 1990

(2 massime)

(massima n. 1)

L'art. 203 c.p., nella parte in cui enuncia il principio che agli effetti della legge penale è persona socialmente pericolosa quella, anche se non imputabile o non punibile, che abbia commesso un fatto dalla legge preveduto come reato, è una norma a carattere programmatico, poiché il codice penale vigente non prevede alcuna misura di sicurezza nei confronti delle persone prosciolte perché non punibili, qualunque sia la causa di non punibilità, generale o speciale, posta a fondamento della sentenza di proscioglimento (nella specie la causa di non punibilità che veniva in rilievo era la desistenza volontaria).

(massima n. 2)

Nessuna delle misure di sicurezza tra quelle indicate tassativamente dagli artt. 215 e 236 c.p., in relazione all'art. 199 stesso codice, può essere applicata al colpevole che sia stato prosciolto per una causa diversa da quelle previste espressamente dagli artt. 49 (reato impossibile), 115 (istigazione ed accordo a commettere un delitto), 222 (reato commesso da persona non imputabile per infermità mentale e situazioni a questa equiparate), 224 (reato commesso da minore degli anni quattordici) c.p., in quanto presupposto indefettibile delle misure di sicurezza — compresa quella della libertà vigilata che ha carattere generale — prevedute dal codice penale è l'esistenza di una sentenza di condanna (salvo il disposto dell'art. 205 comma secondo in relazione all'art. 109 c.p.).

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