Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 12628 del 20 settembre 1990

(2 massime)

(massima n. 1)

Gli estremi della condotta del reato di millantato credito, prevista dall'art. 346, primo comma, c.p., devono intendersi realizzati nel solo fatto di chi, vantando in modo esplicito o dando ad intendere di avere possibilità di influire sul pubblico funzionario, si faccia dare o promettere un compenso per la propria mediazione presso il medesimo funzionario; e ciò a prescindere dalle particolari modalità della condotta, in forza delle quali egli riesca ad ottenere tale compenso, sia prospettando eventuali ostacoli od incertezze (che tuttavia non siano tali da far recedere il cosiddetto «compratore di fumo») sia promettendo il sicuro esito del suo intervento.

(massima n. 2)

In tema di concorso di cause estintive, dalla chiara dizione letterale della norma di cui all'art. 183, secondo comma, c.p. si evince che la «prevalenza» di una causa estintiva sull'altra presuppone che l'applicazione di quella prevalente precluda la contestuale applicabilità dell'altra. Manca, pertanto, l'interesse del condannato all'applicazione dell'indulto quando gli sia concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena. L'interesse all'applicazione della causa estintiva della pena, una volta che sia intervenuta la sospensione condizionale della pena, può insorgere successivamente, qualora il condannato non si astenga dal commettere reati entro i termini stabiliti dalla legge (art. 167 c.p.). In tal caso potrà essere invocata la causa estintiva della pena, in sede esecutiva.

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