Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 5089 del 7 maggio 1991

(1 massima)

(massima n. 1)

L'art. 1, n. 1, lett. g) D.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, nel concedere amnistia per ogni reato commesso dal minore qualora il giudice ritenga a lui concedibile il perdono giudiziale, ha anche sancito l'inapplicabilità — a quel fine — delle disposizioni di cui all'art. 169, terzo e quarto comma c.p., cioè ha stabilito che la valutazione rimessa al giudice debba prescindere sia dall'esistenza di precedenti condanne a pena detentiva riportate dall'imputato, sia dal fatto che questo abbia già usufruito del perdono giudiziale. Ne deriva che le univoche considerazioni che il giudicante è tenuto a compiere — una volta emersa dagli atti la prova della colpevolezza dell'imputato — attengono alla misura della pena che dovrebbe essere irrogata e al giudizio prognostico sulla condotta dello stesso imputato, sicché egli non potrebbe applicare l'amnistia solo se ritenesse infliggibile una pena eccedente il limite di cui all'art. 169, primo comma, c.p., ovvero non presumesse che il colpevole si asterrà in futuro dal commettere reati.

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