Cassazione penale Sez. I sentenza n. 1298 del 10 febbraio 1993

(1 massima)

(massima n. 1)

In tema di imputabilità, posto che la capacità di intendere e di volere dell'adulto (a differenza di quanto si verifica nel caso del minore ultraquattordicenne), forma oggetto di una vera e propria presunzione, sia pure iuris tantum, l'obbligo di motivazione sul punto, quando la detta capacità sia ritenuta sussistente, va posto in stretta correlazione con la prospettazione, da parte della difesa, di elementi specifici potenzialmente atti a vincere la detta presunzione; attitudine, questa, che può essere riconosciuta solo quando i detti elementi si appalesino idonei a dimostrare l'esistenza di una vera e propria «infermità» la quale, pur non dovendo necessariamente identificarsi in una infermità propriamente «psichica» (come è invece richiesto, non a caso, dagli artt. 219 e 222 c.p. ai fini dell'applicazione delle misure di sicurezza ivi previste), deve tuttavia essere caratterizzata (poiché altrimenti non si tratterebbe neppure di «infermità»), da inequivocabili connotazioni patologiche, obiettivamente rilevabili, indipendentemente dalla loro classificabilità o meno in una o in un'altra categoria nosologica.

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