Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 3228 del 6 marzo 2001

(1 massima)

(massima n. 1)

Nel rito del lavoro, il corretto esercizio del potere officioso conferito al giudice dalla norma di cui all'art. 421 c.p.c. in tema di ricerca di prove suppletive od integrative a supporto della domanda postula l'esistenza, in seno al processo, tanto di taluni elementi positivi, quanto l'assenza di altri, ed opposti, elementi ostativi, onde non travalicare l'ambito della disposizione de qua (trasmodando nell'arbitrio scaturente dalla sovrapposizione della volontà del giudicante a quella delle parti in conflitto di interessi), e non oltrepassare, così, il limite obbligato della terzietà che, comunque, deve sorreggere l'attività del giudicante (e sulla quale i detti, ampliati poteri, pur applicati in senso lato, non possono prevalere). Elementi positivi devono, pertanto, essere considerati la circostanza che, dall'esposizione dei fatti compiuta dalle parti — o dall'assunzione degli altri mezzi di prova offerti dalle stesse — siano dedotti, pur se implicitamente, quei fatti e quei mezzi di prova idonei a sorreggere (sia pur non compiutamente) le rispettive ragioni con profili di decisività della controversia; il fatto che l'esplicazione dei poteri istruttori del giudice venga specificamente sollecitata dalla parte con riferimento alla qualificata integrazione sopradescritta; la impossibilità, soggettiva od oggettiva, di reperire o dedurre la prova carente, ovvero di integrare, ad opera della parte, quella lacunosa o polivalente, pur nella sua acclarata idoneità a sorreggere le ragioni dedotte; gli elementi negativi afferiscono, invece, ai limiti che l'attribuzione al giudice di poteri istruttori d'ufficio incontra, e concernono il rispetto del principio della domanda; l'onere di deduzione in giudizio dei fatti costitutivi, impeditivi od estintivi del diritto controverso; il rispetto del divieto di utilizzazione della conoscenza privata da parte del giudice; l'eventuale inerzia probatoria, ovvero l'eventuale rinuncia, esplicita o per facta concludentia, della parte, cui il giudice non può ovviare con il suo potere officioso.

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