Cassazione penale Sez. IV sentenza n. 34156 del 10 agosto 2004

(1 massima)

(massima n. 1)

L'errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità ed oggetto del rimedio previsto dall'art. 625 bis c.p.p. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco e postula inderogabilmente che lo sviamento della volontà del giudice sia non solo decisivo, ma anche di oggettiva immediata rilevabilità, nel senso che il controllo degli atti processuali deve far trasparire, in modo diretto ed evidente, che la decisione è stata condizionata dall'inesatta percezione e non dall'errata valutazione o dal non corretto apprezzamento di quegli atti, nel qual caso la qualificazione appropriata è quella corrispondente all'errore di giudizio. Ne consegue che l'omesso esame di un motivo di ricorso non dà causa ad errore di fatto, né determina incompletezza della motivazione della sentenza, quando, pur in mancanza di espressa disamina, la censura debba considerarsi implicitamente disattesa perché incompatibile con la struttura e l'impianto della motivazione, nonché con le premesse, logiche e giuridiche, che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima; è invece riconducibile nella figura dell'errore di fatto quando sia dipeso da una vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato l'erronea supposizione dell'inesistenza della censura, la cui presenza, viceversa, sia immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso. (In conformità a tali principi, la Corte ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso proposto avverso sentenza della S.C. che aveva rigettato il ricorso proposto sul rilievo di un supposto errore di lettura dell'atto di appello da parte dei giudici della Suprema Corte, che, in un procedimento di abusi sessuali a carico di minore, non avrebbero percepito che il difensore aveva posto il problema della possibile evidenza di una strumentalità delle accuse di abuso sessuale da parte della madre del bambino; la Corte, dopo aver rilevato che il tema in questione non era stato in effetti prospettato al giudice di merito con la specificità richiesta dall'art. 581, lett. c), c.p.p., ha concluso che, per tale motivo, in base ai principi sopra indicati, non era ravvisabile l'errore di fatto, non essendo ravvisabile ictu oculi la pretermissione di una circostanza diversamente affermata e rinvenibile negli atti processuali).

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