Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 890 del 21 giugno 1996

(2 massime)

(massima n. 1)

Il giudizio di revisione nel nuovo codice di procedura penale non comprende, a differenza del vecchio, una fase rescindente e una fase rescissoria e la valutazione di ammissibilità dell'istanza (che nel vecchio rito era rimessa alla cassazione) serve esclusivamente ad evitare un ingiustificato appesantimento dell'attività dell'autorità giudiziaria, essa perciò, non deve procedere ad un vaglio approfondito del merito della questione e deve valutare la novità degli elementi di prova tenendo conto del loro valore complessivo, specie quando esse ineriscano alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato. D'altra parte l'annullamento da parte della cassazione della dichiarazione di inammissibilità non vincola il giudice di rinvio all'emissione del decreto di citazione a giudizio previsto dall'art. 636 c.p.p., ma obbliga solo ad una nuova valutazione della sussistenza dei requisiti per la sua emissione.

(massima n. 2)

In tema di revisione, la valutazione di ammissibilità è fatta dalla corte d'appello, secondo quanto prevede l'art. 634 c.p.p., de plano, senza cioè sentire gli interessati, questo però non preclude la possibilità di acquisire un parere scritto della procura con il quale questa intenda bilanciare l'istanza presentata dalla parte, parere che dovrà essere preso in considerazione solo nei limiti della valutazione propria della fase, che sono solo quelli della «manifesta infondatezza» della istanza e non di valutazione approfondita nel merito di essa.

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