Cassazione penale Sez. I sentenza n. 1095 del 14 marzo 1998

(2 massime)

(massima n. 1)

Con riguardo all'attuale disciplina della revisione è improprio distinguere una fase rescindente e una fase rescissoria, non essendo più previsto uno stadio della procedura che si concluda con la revoca o l'annullamento della precedente sentenza. Sicché, attesa l'espressa previsione, nell'art. 634 c.p.p., come causa autonoma di inammissibilità della richiesta, della manifesta infondatezza della medesima, risulta attribuito alla corte d'appello, nella fase preliminare prevista dalla medesima disposizione, un limitato potere-dovere di valutazione, anche nel merito, dell'oggettiva potenzialità degli elementi addotti dal richiedente, ancorché costituiti da «prove» formalmente qualificabili come «nuove», a dar luogo a una necessaria pronuncia di proscioglimento. (Fattispecie relativa a istanza di revisione della sentenza di condanna fondata su nuove scoperte scientifiche in tema di ricerca del DNA, ritenute in grado di far escludere la compatibilità del sangue dell'istante con quello ritrovato sul luogo dell'omicidio attribuitogli. In relazione ad essa, la S.C., nell'enunciare il principio di cui in massima, ha ritenuto corretto l'operato della corte di merito, che aveva giudicato inidoneo il mezzo probatorio indicato dall'istante ad inficiare la pregressa affermazione della sua responsabilità).

(massima n. 2)

In tema di revisione, non costituisce prova nuova ai sensi dell'art. 630, lett. c) c.p.p. una diversa valutazione tecnico-scientifica degli elementi fattuali già noti ai periti e al giudice, che — nel postulare la sopravvenuta esperibilità di una diversa e più affidabile metodologia d'indagine peritale — si risolva in realtà nella reiterazione di apprezzamenti critici in ordine a dati ontologici ed emergenze oggettive già conosciuti e apprezzati nel giudizio, in violazione del principio dell'improponibilità, mediante la revisione, di ulteriori prospettazioni di situazioni già constatate. (Fattispecie relativa alla richiesta di una c.d. «superperizia» sul DNA che avrebbe consentito, secondo l'istante, accertamenti più sofisticati sul reperto sanguigno, tali da poter escludere il suo coinvolgimento nell'omicidio).

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