Cassazione penale Sez. I sentenza n. 1319 del 20 marzo 1996

(1 massima)

(massima n. 1)

In tema di indulto, il principio secondo il quale il reato continuato va scisso nei singoli elementi che lo compongono, al fine di applicare il beneficio ai reati che vi rientrano, è stato espressamente accolto dall'art. 8, ultimo periodo, D.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865. Pertanto, quando si verifichi la condizione risolutiva di cui all'art. 11 del suddetto decreto, il beneficio va revocato, anche se il reato che importa l'effetto revocatorio sia unito — in sede di esecuzione — dal vincolo della continuazione ai reati oggetto della sentenza di condanna che abbia fatto applicazione del beneficio e malgrado la pena determinata per l'aumento ex art. 81 cpv. c.p. sia inferiore al limite di un anno di reclusione. (Fattispecie relativa a revoca dell'indulto ex D.P.R. n. 865/1986, applicazione della disciplina del reato continuato e del provvedimento di indulto di cui al D.P.R. 22 dicembre 1990, n. 394, in sede di esecuzione. La Suprema Corte ha disatteso l'assunto del ricorrente, secondo il quale non si sarebbe dovuto far luogo alla revoca, sia perché il reato continuato va valutato unitariamente, sia perché il quantum di pena cui occorre aver riguardo a tale fine, ex art. 11 del D.P.R. n. 865/1986, non è quello originariamente inflitto, ma quello inferiore, stabilito nella specie come aumento ex art. 81 cpv. c.p.).

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