Cassazione penale Sez. I sentenza n. 118 del 3 marzo 1992

(1 massima)

(massima n. 1)

La richiesta rivolta al giudice dell'esecuzione con la quale si instaura il procedimento disciplinato dall'art. 666 c.p.p. non ha natura di impugnazione e, pertanto, non può essere dichiarata inammissibile per il solo fatto che, a sostegno di essa, non siano stati enunciati i motivi specifici. Peraltro la non necessità di specificare le ragioni della richiesta ha fondamento nel disposto del comma secondo dell'art. 666, che limita i casi di inammissibilità dell'istanza alla manifesta infondatezza per difetto delle condizioni di legge ed alla mera riproposizione di istanza già rigettata e basata sui medesimi elementi, mentre, d'altro canto, il comma quinto del medesimo articolo impone l'obbligo di provvedere d'ufficio all'acquisizione di documenti e informazioni o, ove occorra, all'assunzione di prove. (Con riferimento al caso di specie la Cassazione ha evidenziato che il principio di cui in massima è valido per tutti i procedimenti di esecuzione e, dunque, anche per quello previsto dall'art. 671 c.p.p. in materia di continuazione, per il quale ultimo, quindi, non si richiede che l'istante enunci le ragioni e produca i documenti giustificativi della richiesta di applicazione della continuazione, essendo anzi previsto dall'art. 186 delle disposizioni di attuazione che le copie delle sentenze e dei decreti di condanna da cui desumere gli elementi di valutazione ai fini dell'accertamento della sussistenza o meno dell'unicità del disegno criminoso, se non allegate dall'istante, sono acquisite d'ufficio).

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