Cassazione penale Sez. I sentenza n. 4568 del 11 gennaio 1993

(1 massima)

(massima n. 1)

In materia di reato continuato, l'art. 671, c.p.p. relativo all'applicazione della continuazione nella fase esecutiva dei provvedimenti giurisdizionali pronunciati in distinti procedimenti contro la stessa persona, rappresenta la necessaria conseguenza della riduzione delle ipotesi di connessione dei procedimenti nella fase di cognizione, perseguita dal legislatore con la tendenziale concentrazione del processo su un'unica imputazione, obiettivo ritenuto fondamentale per la funzione del rito accusatorio, ma che costituisce un indubbio pregiudizio del diritto dell'imputato di usufruire dei vantaggi derivanti dalla continuazione. Il favor separationis, obiettivo primario della filosofia cui si ispira il vigente codice di rito, avrebbe potuto, a causa dell'indicato pregiudizio, incidere su posizioni soggettive costituzionalmente presidiate (artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, della Costituzione). L'intervento del giudice dell'esecuzione, funzionalmente investito delle questioni attinenti all'esecuzione del giudicato — che, indubbiamente, subisce non lievi scalfitture dall'istituto introdotto dal vigente codice di procedura penale — non si sarebbe potuto estendere in maniera penetrante, così da giungere alla rivalutazione delle questioni concernenti l'esistenza del medesimo disegno criminoso, già trattata ed esclusa dal giudice della cognizione, in quanto altrimenti sarebbe stato scardinato il principio della certezza del diritto con riferimento alla sua concreta attuazione. Ne consegue che, come limite alla applicazione dell'istituto in sede esecutiva, opera la riserva «sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione», vale a dire, che tale giudice non abbia escluso l'esistenza di un medesimo disegno criminoso. Cosicchè mentre all'interessato è fatto carico di indicare i reati cui la continuazione si riferisce, spetta al giudice dell'esecuzione individuare i dati sostanziali relativi al medesimo disegno criminoso; un'operazione da compiere con approfondita disamina dei casi giudiziari, acquisendo di ufficio le copie delle sentenze o dei decreti irrevocabili se non già allegati alla richiesta.

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