Cassazione penale Sez. I sentenza n. 710 del 26 gennaio 1993

(3 massime)

(massima n. 1)

Al reato di rissa, ed a quelli commessi nel corso di essa, non è applicabile la legittima difesa perché i corrisanti sono animati dall'intento reciproco di offendersi ed accettano la situazione di pericolo nella quale volontariamente si sono posti, sicché la loro difesa non può dirsi necessitata. Solo eccezionalmente, in simili ipotesi, l'esimente di che trattasi può essere riconosciuta ed è quando, esistendo tutti gli altri requisiti voluti dalla legge, vi sia stata una reazione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia una offesa che, per essere diversa e più grave di quella accettata, si presenti del tutto nuova, autonoma e in tal senso ingiusta.

(massima n. 2)

Il criterio distintivo fra le due ipotesi di reato previste dagli artt. 575 e 584 c.p., va individuato nella diversità dell'elemento psicologico che nell'omicidio preterintenzionale consiste nella volontarietà delle percosse o delle lesioni alle quali consegue la morte dell'aggredito come evento non voluto neppure nella forma eventuale ed indiretta della previsione e del rischio. Invero, allorquando l'agente abbia agito con dolo alternativo, con la volontà cioè di ferire o di uccidere indifferentemente o con dolo eventuale, vale a dire con previsione o rappresentazione dell'evento in termini di probabilità e di accettazione del rischio, non può ricorrere l'ipotesi preterintenzionale che presuppone l'accertata esistenza di volontà unicamente diretta a ledere o percuotere.

(massima n. 3)

L'attenuante della provocazione è normalmente inapplicabile al reato di rissa, atteso che in esso la provocazione tra i corrissanti è reciproca e si elide vicendevolmente, a meno che uno dei partecipanti alla contesa abbia ecceduto i limiti accettati e prevedibili, così realizzando - con la propria reazione eccessiva - un nuovo ed autonomo fatto ingiusto.

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