Cassazione penale Sez. I sentenza n. 5966 del 18 maggio 1988

(2 massime)

(massima n. 1)

La valutazione delle prove della volontà omicida costituisce un giudizio di fatto che non può essere sindacato dalla Corte di cassazione quando sia sorretto da logica e adeguata motivazione.

(massima n. 2)

Per accertare il dolo del delitto di cui all'art. 575 c.p., l'individuazione del processo volitivo, normalmente del tutto intimo, e della direzione della volontà che ne costituisce il risultato, non può essere effettuata attraverso la normale indagine probatoria, e cioè un accertamento dall'esterno che prescinda dagli elementi di natura oggettiva concernenti la materialità dell'azione, quali, soprattutto se trattasi di morte provocata con arma da fuoco, la parte del corpo attinta e comunque presa di mira, il numero dei colpi sparati, la micidialità dell'arma. L'utilizzazione di tali elementi, estrinseci all'azione criminosa, non esclude, però, quella concomitante e sussidiaria, di altri elementi come la causale dell'azione stessa, i rapporti antecedenti tra l'autore della condotta lesiva e la vittima, il comportamento antecedente ovvero contemporaneo dei protagonisti in modo che la valutazione della correlazione tra tali elementi e quelli concernenti la materialità dell'azione possa fornire al giudice la dimostrazione esauriente della sussistenza della voluntas necandi ovvero della sua esclusione.

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