Cassazione penale Sez. V sentenza n. 1671 del 9 giugno 1998

(1 massima)

(massima n. 1)

In tema di sequestro preventivo, la nozione di cose pertinenti al reato, è più ampia di quella di corpo di reato definita dall'art. 253 comma 2 c.p.p., in quanto non solo include in sè i beni costituenti corpo di reato ma abbraccia anche tutte le cose legate anche indirettamente alla fattispecie criminosa. Ciò comporta che, in astratto, ogni bene può essere pertinente a reato, salvo verificarne in concreto il legame con quest'ultimo. Nulla esclude, quindi, che i locali in cui vengono svolte attività criminose (nella specie: attività di intermediazione finanziaria senza abilitazione) possano ritenersi pertinenti a reato. Tuttavia, la pertinenza della cosa al reato va collegata — al fine di evitare una indiscriminata compressione del diritto di proprietà e di uso del bene — alla finalità di impedire che la disponibilità della cosa stessa da parte dell'indagato comporti il pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze di reato. Si tratta comunque di una valutazione di merito che, se congruamente motivata in riferimento alla specifica stabile strumentalità della cosa sottoposta a sequestro all'attività illecita ed alla possibilità che quest'ultima venga reiterata, si sottrae al sindacato di legittimità.

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