Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 1148 del 14 febbraio 1983

(1 massima)

(massima n. 1)

Poiché il giuramento a norma dell'art. 238 c.p.c. deve essere prestato ripetendo le parole della formula, è necessario — qualora si tratti di giuramento de scientia — che la formula stessa sia redatta, a pena di inammissibilità in modo che, ripetendola, il giurante affermi o neghi non già un fatto bensì la conoscenza che egli ne abbia perché soltanto questa costituisce l'oggetto del giuramento. Pertanto, se la formula è redatta in modo che il giurante debba rispondere sulla verità di un fatto che a lui non appaia riferibile in quanto non proprio della sua attività, bensì riferibile ad attività altrui, il giuramento è inammissibile a norma dell'art. 2739 c.c. Questo rigore è infatti giustificato dalle differenti conseguenze discendenti dalla distinzione fra giuramento de veritate e giuramento de scientia, dal momento che la dichiarazione del giurante di ignorare i fatti equivale a rifiuto nel giuramento de veritate ed a prestazione favorevole al giurante nel giuramento de scientia.

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