Cassazione civile Sez. III sentenza n. 14759 del 4 giugno 2008

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di comunione, il potere di concorrere nell'amministrazione della cosa comune statuito dal primo comma dell'art. 1105 c.c. può, nei confronti dei terzi, indurre a ritenere che chi agisce per la comunione la rappresenti ma, per vincolare i comunisti agli atti non stipulati dalla maggioranza, occorre, in ogni caso, che gli stessi vi prestino consenso. Infatti, per gli atti di ordinaria amministrazione, tra cui quelli indicati dall'art. 374 c.c., poiché l'esercizio da parte del singolo della facoltà di amministrare la cosa comune può collidere con quello analogo degli altri, ai sensi del secondo comma della norma citata, la potestà di disporre spetta alla maggioranza delle quote, la cui volontà vincola la minoranza e, comunque, ciascun comunista, se ritiene di esserne pregiudicato, può ricorrere all'autorità giudiziaria, ai sensi del quarto comma del richiamato art. 1105 c.c., come nel caso in cui non si formi la volontà della maggioranza o non si deliberi sull'amministrazione della cosa comune.

(massima n. 2)

In tema di comunione, qualora la maggioranza dei comunisti appresa l'intenzione della minoranza o di uno di essi di cedere in locazione (o in affitto agrario) ad un terzo la cosa comune, ovvero l'avvenuta stipulazione del contratto si opponga, rispettivamente, alla conclusione del contratto o all'esecuzione del rapporto locativo, al terzo, cui venga comunicato tale dissenso, resta preclusa la possibilità di pretendere quella conclusione o esecuzione, con la conseguenza che il contratto, stipulato nonostante tale consapevolezza, è invalido per carenza di potere, o di valida volontà, della parte concedente di disporre per l'intero. Inoltre, la comunicazione del detto dissenso non solo alla minoranza, ma anche al terzo conduttore (o affittuario), determina la consapevolezza, in quest'ultimo, della mancanza di legittimazione alla stipula dell'atto da parte della minoranza e, quindi, il concorso, in malafede, nell'abuso del diritto nell'amministrazione del bene comune e ciò costituisce fatto illecito generatore del danno di cui è, pertanto, corresponsabile in solido il conduttore (o affittuario) che ha concorso e cooperato nella conclusione del contratto.

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