Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 11108 del 15 maggio 2007

(1 massima)

(massima n. 1)

Posto, in generale, il principio secondo cui tutte le ragioni che possono condurre al rigetto della domanda per difetto delle sue condizioni di fondatezza, o per la successiva caducazione del diritto con essa fatto valere, possono essere rilevate anche d'ufficio, in base alle risultanze rite et recte acquisite al processo, nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali, con l'effetto che la verifica attribuita al giudice in ordine alla sussistenza del titolo — che rappresenta la funzione propria della sua giurisdizione — deve essere compiuta, di norma, ex officio in ogni stato e grado del processo, nell'ambito proprio di ognuna delle sue fasi, si deve affermare che detto principio trova il suo principale limite — in relazione al disposto dell'art. 112 c.p.c. — nell'inammissibilità della pronuncia d'ufficio sulle eccezioni, perciò denominate «proprie» e specificamente previste normativamente, che possono essere proposte soltanto dalle parti, ricadendo, in virtù di una scelta proveniente dalla legge sostanziale e giustificatesi in ragione della tutela di particolari interessi di merito, nella sola loro disponibilità, ed esse si identificano, nel processo del lavoro, con quelle richiamate negli artt. 416, comma secondo, e 437, comma secondo, c.p.c., rispettivamente per il giudizio di primo grado e per quello di appello. Peraltro, tale limitazione si estende anche a quelle ipotesi di eccezioni in cui l'iniziativa necessaria della parte, a prescindere dall'espressa previsione di legge, è richiesta «strutturalmente» perché il fatto integratore dell'eccezione corrisponde all'esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio, come si verifica con riguardo a tipiche azioni costitutive, nelle quali la scelta del debitore di eccepire o meno il fatto o la situazione giuridica impeditiva o estintiva discende dalla tutela di un interesse di merito dello stesso debitore di adempiere comunque alla pretesa attorea. Alla luce di ciò può asserirsi che non rientra nel novero delle eccezioni che sfuggono al rilievo d'ufficio quella inerente (come nella specie), nelle controversie di lavoro, alla deduzione di inapplicabilità della clausola contrattuale dedotta dal lavoratore, per la cui proposizione, quindi, non si prospetta configurabile la decadenza stabilita dai richiamati artt. 416 e 437 del codice di rito.

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