Cassazione civile Sez. II sentenza n. 8808 del 30 maggio 2003

(1 massima)

(massima n. 1)

La nozione di pari uso della cosa comune cui fa riferimento l'art. 1102 c.c — che in virtù del richiamo contenuto nell'art. 1139 c.c. è applicabile anche in materia di condominio negli edifici — non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini è stato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto. Pertanto, raffigura un uso più ampio della cosa comune — ricompreso nelle facoltà attribuite ai condomini dall'art. 1102, primo comma, c.c. — l'apertura di un varco nella recinzione comune (con apposizione di un cancello) effettuata per mettere in comunicazione uno spazio condominiale con una strada aperta al passaggio pubblico, sia pedonale che meccanizzato.

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