Cassazione penale Sez. III sentenza n. 1738 del 26 febbraio 1983

(2 massime)

(massima n. 1)

La nozione del giuoco d'azzardo è data dall'art. 721 c.p. che stabilisce che sono tali quelli nei quali ricorre il fine di lucro e la vincita o la perdita è interamente o quasi interamente aleatoria. Sicché per aversi giuoco d'azzardo è necessario il concorso di due elementi, l'uno di carattere oggettivo, l'aleatorietà della vincita o della perdita, inerente al giuoco stesso, l'altro di carattere soggettivo, il fine di lucro delle persone partecipanti ed interessate. Nel giuoco d'azzardo la valutazione normativa dei due elementi dell'alea e del fine di lucro non è dissociabile in termini di priorità, ma è unitaria ed inscindibile ed entrambi gli elementi concorrono a caratterizzare il giuoco d'azzardo.

(massima n. 2)

Sono aleatori quei giuochi che «normalmente e per la loro natura» in tutto o quasi dipendono dal caso senza che nulla possa l'abilità del giocatore; inoltre il fine di lucro si ha quanto i giocatori si propongono lo scopo di conseguire vantaggi economicamente valutabili (denaro o altra utilità). Il fine di lucro non va escluso anche se la posta sia modesta e comunque da impiegarsi in consumazioni, come caffè, vivande, ecc., dato che la legge prescinde dall'entità e natura della posta impegnata nel giuoco stesso, della quale ultima tiene conto come circostanza aggravante se è rilevante.

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