Cassazione civile Sez. I sentenza n. 4455 del 28 marzo 2001

(2 massime)

(massima n. 1)

Ai fini della decorrenza del termine annuale dalla cessazione dell'attività, entro il quale, ai sensi dell'art. 10 L. fall., può essere dichiarato il fallimento dell'imprenditore, il principio della effettività, alla cui stregua l'acquisizione della qualità di imprenditore commerciale è indissolubilmente collegata, al di là di ogni elemento nominalistico e formale, al concreto esercizio dell'attività di impresa, anche la dismissione di tale qualità- per quanto attiene all'imprenditore individuale, diversi criteri essendo accolti per le società - deve intendersi correlata al mancato compimento, nel periodo di riferimento, di operazioni intrinsecamente corrispondenti a quelle poste normalmente in essere nell'esercizio dell'impresa, ed il relativo apprezzamento compiuto dal giudice del merito, se sorretto da sufficiente e congrua motivazione, si sottrae al sindacato in sede di legittimità. (Nella specie, alla stregua del principio di cui alla massima, la S.C. ha ritenuto viziata la decisione della Corte territoriale - che aveva respinto l'appello avverso la decisione di rigetto della opposizione alla dichiarazione di fallimento - nella parte in cui aveva desunto gli unici elementi significativi della continuazione dell'attività imprenditoriale oltre il termine di cui all'art. 10 L. fall. dal compimento degli adempimenti amministrativi relativi e conseguenti alla cancellazione dall'albo, negando apoditticamente rilevanza al dato oggettivo dell'assenza di registrazione fiscale di operazioni imponibili ai fini IVA nel periodo considerato).

(massima n. 2)

In tema di impugnazione della sentenza emessa sulla opposizione alla dichiarazione di fallimento, trova applicazione il principio generale vigente in materia di impugnazioni di merito, in base al quale la denuncia della nullità della sentenza non può essere considerata alla stregua di una autonoma ed autosufficiente querela nullitatis, essendo, al contrario, ammissibile solo se ed in quanto correlata alla prospettazione della ingiustizia della sentenza mediante la deduzione di specifiche censure relative al contenuto decisionale della medesima.

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