Cassazione penale Sez. V sentenza n. 2 del 4 gennaio 1995

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di concorso di persone nel reato, si configura la partecipazione morale e non la mera presenza passiva allorquando la mancata assunzione di qualsiasi iniziativa e il mantenimento di un atteggiamento di «non intervenuto» esprime una condotta obiettivamente e logicamente valutabile come adesione all'altrui azione criminosa, con il correlativo rafforzamento della volontà dell'esecutore materiale. (Fattispecie nella quale è stato ritenuto il concorso nel delitto di violenza privata di due persone che avevano assistito senza intervenire alla condotta di una terza persona, a bordo della cui auto si trovavano, che aveva stretto contro un'inferriata una donna, impedendole di muoversi e di allontanarsi).

(massima n. 2)

La confisca del danaro, il cui possesso ingiustificato integra il reato di cui all'art. 708 c.p., è obbligatoria e deve essere necessariamente ordinata, ai sensi degli artt. 240, comma 2, c.p., e 445, comma 1, c.p.p., anche con la sentenza che applica la pena a richiesta delle parti. Invero la criminosità e la pericolosità che impongono la confisca non costituiscono un carattere della cosa in sé, ma derivano dalla relazione fra questa e l'agente, per cui, quand'anche la cosa non possa definirsi, come nel caso del danaro, intrinsecamente criminosa, deve essere comunque applicata la misura di sicurezza patrimoniale tutte le volte che la sua detenzione da parte dell'agente, al quale dovrebbe essere restituita, costituisce reato. (Con riferimento alla fattispecie contravvenzionale sottoposta al suo esame la Corte ha altresì osservato in motivazione che una diversa conclusione determinerebbe una situazione assurda, perché si imporrebbe la restituzione all'agente di cose di cui egli non ha giustificato la provenienza e la cui detenzione, costituente per il passato reato, verrebbe per il futuro ad essere legittimata proprio dal provvedimento giudiziale di restituzione).

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