Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 11360 del 28 ottobre 1998

(1 massima)

(massima n. 1)

Nel caso dell'addetto al servizio postale che manometta un plico impossessandosi delle banconote ivi contenute è configurabile il concorso tra i delitti di peculato e di violazione di corrispondenza, non sussistendo un rapporto di specialità tra l'art. 616 c.p. e l'art. 314 c.p. Infatti, la clausola «se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge», contenuta nell'art. 616 c.p., va interpretata con riferimento al fatto tipico della presa di cognizione del contenuto di una corrispondenza, ovvero della sua sottrazione, distrazione, distruzione o soppressione, eventualmente descritto in una norma penale diversa da quella dell'art. 616; condotte, queste, non specificamente enunciate nel delitto di peculato, che ha diversa oggettività giuridica rispetto all'altra figura delittuosa.

La valutazione della idoneità dell'azione che rende impossibile il reato va compiuta con giudizio ex ante, che tenga conto cioè delle conoscenze conosciute e conoscibili dall'agente al momento della condotta in relazione al raggiungimento del risultato perseguito. Risponde pertanto del reato di violazione di corrispondenza, a norma degli artt. 616 e 619 c.p. l'addetto al servizio delle poste che apre un plico «civetta» — inviato peraltro a un destinatario effettivamente esistente — e sottrae le banconote ivi contenute, i cui numeri di serie erano stati preventivamente registrati dall'amministrazione postale.

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