Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 3067 del 14 dicembre 1999

(3 massime)

(massima n. 1)

Con la previsione dell'art. 615 ter c.p., introdotto a seguito della legge 23 dicembre 1993, n. 547, il legislatore ha assicurato la protezione del «domicilio informatico» quale spazio ideale (ma anche fisico in cui sono contenuti i dati informatici) di pertinenza della persona, ad esso estendendo la tutela della riservatezza della sfera individuale, quale bene anche costituzionalmente protetto. Tuttavia l'art. 615 ter c.p. non si limita a tutelare solamente i contenuti personalissimi dei dati raccolti nei sistemi informatici protetti, ma offre una tutela più ampia che si concreta nello jus excludendi alios, quale che sia il contenuto dei dati racchiusi in esso, purché attinenti alla sfera di pensiero o all'attività, lavorativa o non, dell'utente; con la conseguenza che la tutela della legge si estende anche agli aspetti economico-patrimoniali dei dati sia che titolare dello jus excludendi sia persona fisica, sia giuridica, privata o pubblica, o altro ente.

(massima n. 2)

Deve ritenersi «sistema informatico», secondo la ricorrente espressione utilizzata nella legge 23 dicembre 1993, n. 547, che ha introdotto nel codice penale i cosiddetti computer's crimes, un complesso di apparecchiature destinate a compiere una qualsiasi funzione utile all'uomo, attraverso l'utilizzazione (anche parziale) di tecnologie informatiche, che sono caratterizzate - per mezzo di un'attività di «codificazione» e «decodificazione» - dalla «registrazione» o «memorizzazione», per mezzo di impulsi elettronici, su supporti adeguati, di «dati», cioè di rappresentazioni elementari di un fatto, effettuata attraverso simboli (bit), in combinazione diverse, e dalla elaborazione automatica di tali dati, in modo da generare «informazioni», costituite da un insieme più o meno vasto di dati organizzati secondo una logica che consenta loro di esprimere un particolare significato per l'utente. La valutazione circa il funzionamento di apparecchiature a mezzo di tali tecnologie costituisce giudizio di fatto insindacabile in Cassazione ove sorretto da motivazione adeguata e immune da errori logici. (Nella specie è stata ritenuta corretta la motivazione dei giudici di merito che avevano riconosciuto la natura di «sistema informatico» alla rete telefonica fissa - sia per le modalità di trasmissione dei flussi di conversazioni sia per l'utilizzazione delle linee per il flusso dei cosiddetti «dati esterni alle conversazioni» - in un caso in cui erano stati contestati i reati di accesso abusivo a sistema informatico [art. 615 ter c.p.] e di frode informatica [art. 640 ter c.p.]).

(massima n. 3)

Possono formalmente concorrere i reati di accesso abusivo a un sistema informatico (art. 615 ter c.p.) e di frode informatica (art. 640 ter c.p.): trattasi di reati totalmente diversi, il secondo dei quali postula necessariamente la manipolazione del sistema, elemento costitutivo non necessario per la consumazione del primo: la differenza fra le due ipotesi criminose si ricava, inoltre, dalla diversità dei beni giuridici tutelati, dall'elemento soggettivo e dalla previsione della possibilità di commettere il reato di accesso abusivo solo nei riguardi di sistemi protetti, caratteristica che non ricorre nel reato di frode informatica. (Nella specie è stata ritenuta la possibilità del concorso dei due reati nel comportamento di indagati che, digitando da un apparecchio telefonico sito in una filiale italiana della società autorizzata all'esercizio della telefonia fissa un numero corrispondente a un'utenza extra urbana, e facendo seguire rapidamente un nuovo numero corrispondente a un'utenza estera, riuscivano a eludere il blocco del centralino nei confronti di tali telefonate internazionali, così abusivamente introducendosi nella linea telefonica e contestualmente procurandosi ingiusto profitto con danno per la società di esercizio telefonico).

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