Cassazione penale Sez. III sentenza n. 1040 del 6 febbraio 1997

(2 massime)

(massima n. 1)

Il compimento di atti sessuali diversi dalla congiunzione carnale può avere anche connotazioni di gravità maggiore della congiunzione stessa e l'applicazione della circostanza attenuante speciale prevista da comma 3 dell'art. 609 bis deve avere riguardo all'effettiva valenza criminale degli specifici comportamenti desunta con riferimento ai criteri direttivi indicati dall'art. 133 c.p. Non è possibile, pertanto, delineare aprioristicamente una categoria generale alla quale ricondurre «i casi di minore gravità», ma la loro individuazione è rimessa, volta per volta, alla discrezionalità del giudice di merito, da esercitarsi con razionale riferimento agli elementi considerati determinanti per la soluzione adottata e con obbligo di puntuale motivazione. Tra i casi di minore gravità potranno annoverarsi comportamenti di molestia sessuale consistenti in atti concludenti, mentre ne resteranno esclusi quei comportamenti che si risolvono, ad esempio, in ossessivi corteggiamenti o in assillanti proposte, ove «lo sfondo sessuale» costituisce soltanto un motivo e non un elemento della condotta. (Nella specie, relativa ad annullamento senza rinvio, perché il fatto non sussiste, di sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 521 c.p., per avere l'imputato compiuto atti di libidine consistiti, mentre manifestava l'intenzione di abbottonare i pantaloni ad una ragazza e di calzarle le scarpe, nel toccare il bottone dei pantaloni e nel baciarle una gamba, sugli stessi jeans, senza trattenerla né toccarla in altre parti del corpo, la Suprema Corte ha ritenuto che, in sostanza, l'imputato aveva posto in essere una «molestia sessuale» che non varca la soglia della rilevanza penale in relazione all'art. 609 bis c.p. e non è altresì riconducibile ad altre ipotesi criminose, dovendosi escludere con palese evidenza la ravvisabilità di un intento ingiurioso e non potendo configurarsi, in un'abitazione privata, la contravvenzione di cui all'art. 660 c.p.).

(massima n. 2)

La condotta vietata dall'art. 609 bis c.p. (Violenza sessuale), introdotto dall'art. 3 della legge 15 febbraio 1996, n. 66 (Norme contro la violenza sessuale), ricomprende — se connotata da costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorità), sostituzione ingannevole di persona ovvero abuso di condizioni di inferiorità fisica o psichica — oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, anche se non esplicato attraverso il contatto fisico diretto con il soggetto passivo, sia finalizzato ed idoneo a porre in pericolo il bene primario della libertà dell'individuo attraverso l'eccitazione o il soddisfacimento dell'istinto sessuale dell'agente. L'antigiuridicità della condotta resta connotata, dunque, da un requisito soggettivo (la finalizzazione all'insorgenza o all'appagamento di uno stato interiore psichico di desiderio sessuale) che si innesta sul requisito oggettivo della concreta e normale idoneità del comportamento a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale e ad eccitare o a sfogare l'istinto sessuale del soggetto attivo. (La Suprema Corte ha osservato che il riferimento alla «Normale idoneità» è necessario, poiché un soggetto connotato da una sessualità «particolare» potrebbe eccitarsi, per esempio, anche attraverso il bacio delle scarpe calzate dalla persona concupita ed un comportamento siffatto non potrebbe certamente ricondursi alla previsione incriminatrice in esame).

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