Cassazione penale Sez. III sentenza n. 3493 del 15 aprile 1985

(2 massime)

(massima n. 1)

Agli effetti della nozione di osceno ai fini penali, di cui all'art. 529 c.p., atti ed oggetti si equivalgono, sicché è arbitraria l'adozione di un criterio meno restrittivo nel giudizio di oscenità di un oggetto, di quello che dovrebbe darsi in un atto in cui il bene giuridico protetto sia aggredito con pari offesa del pubblico pudore.

(massima n. 2)

Poiché dal carattere alternativo delle fattispecie previste dall'art. 528 c.p. (pubblicazioni e spettacoli osceni) risulta essere indifferente, per il legislatore, la commissione di uno o più fatti lesivi, con diverse modalità del medesimo bene giuridico, qualora l'ipotesi contestata e ritenuta sia quella «della detenzione a scopo di commercio», per la quale non è richiesto il carattere della «pubblicità», che il legislatore ha limitato al solo caso di detenzione allo scopo di esposizione, l'applicazione della norma dell'art. 528 citato non esige che la detenzione dei prodotti commerciali sia fatta pubblicamente «mediante esposizione in vetrina». (Fattispecie relativa a rigetto di ricorso in cui si sosteneva che il concetto di osceno si pone anche in relazione al modo in cui vengono offerti gli oggetti e che, pertanto, tale connotazione veniva a mancare atteso che gli oggetti medesimi si trovavano in un locale interno, denominato sexy shop, ove non si vendeva altra merce e vi accedevano solo «particolari» clienti che sapevano quale merce era ivi offerta in vendita).

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