Cassazione penale Sez. III sentenza n. 10657 del 24 novembre 1997

(2 massime)

(massima n. 1)

Ai bidelli delle scuole elementari compete la qualifica di incaricati di pubblico servizio con riferimento all'art. 358, comma secondo, c.p. (modificato dall'art. 18 L. 26 aprile 1990, n. 86). Infatti, anche se la legge n. 86 del 1990 ha introdotto nel testo dell'art. 358 citato una nozione di incaricato di pubblico servizio più restrittiva di quella precedente, non è dubbio che i bidelli di scuola elementare, accanto a prestazioni prettamente materiali (pulizia delle aule, riordino e manutenzione dei locali, ecc...), svolgono anche mansioni di vigilanza e sorveglianza degli alunni, che non si esauriscono nell'espletamento di un lavoro soltanto materiale, in quanto, implicando conoscenza ed applicazione di elementari regole normative scolastiche, presentano aspetti collaborativi, complementari ed integrativi delle funzioni pubbliche devolute ai capi d'istituto e agli insegnanti in materia di sicurezza, ordine e disciplina all'interno dell'area scolastica. (Nella specie la S.C. ha respinto la deduzione del ricorrente circa l'improcedibilità per difetto di querela in ordine al reato di atti di libidine su alunne minori degli anni quattordici, osservando che allo stesso era affidato il compito di vigilare sugli alunni nei giorni in cui si effettuava il servizio di mensa scolastica e, innegabilmente, tale compito, per i suoi contenuti e per la sua connotazione prevalentemente intellettuale — attesi i profili decisori ed auto-organizzativi che esso comportava —, non può svilirsi e rapportarsi ad una mera esecuzione materiale, insuscettibile di rientrare nella nozione di incaricato di pubblico servizio, delineata dall'art. 358 c.p.).

(massima n. 2)

Il toccamento di parti intime del corpo (nella specie: seni e glutei), sia pure al di sopra degli abiti, sono caratteristiche espressioni di concupiscenza su minori (non ancora pervenuti alla maturità sessuale e dunque non in grado di autodeterminarsi) che, se realizzate in luogo aperto al pubblico, integrano il profilo soggettivo e subiettivo (oltre al reato di atti di libidine violenti ravvisato nella specie) del reato di atti osceni, di cui all'art. 527 c.p., in quanto offendono il pudore secondo il comune sentimento dell'uomo normale, intendendosi per tale l'individuo che, avendo raggiunto la maturità sul piano etico, è alieno dalla fobia e dalla mania per il sesso, anche se accetta il fenomeno sessuale come dato fondamentale della persona umana. Né può trattarsi del reato di atti contrari alla pubblica decenza, di cui all'art. 726 c.p., che ha ad oggetto regole etico-sociali relative al normale riserbo e alla elementare costumatezza, essendo la condotta sopra descritta offensiva della verecondia sessuale e quindi non più soltanto indecente, ma oscena.

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