Cassazione penale Sez. III sentenza n. 4426 del 13 maggio 1997

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di violenza sessuale in danno di persona che si trovi in stato di inferiorità psichica o fisica, il nucleo della condotta tipica, contemplata dalla nuova legge sulla violenza sessuale (artt. 609 bis ss. c.p.), è assimilabile a quello previsto dall'art. 519 stesso codice, salva l'introduzione, da parte della nuova legge 15 febbraio 1996, n. 66, di elementi specifici che, con riferimento alla fattispecie in esame, si individuano nella induzione, con abuso dello stato di inferiorità fisica o psichica della persona, e che — lungi dall'essere ininfluenti ai fini della punibilità (come nell'ipotesi previgente di congiunzione carnale con persona malata di mente) — vanno, di volta in volta, individuati dal giudice di merito. Infatti, il soggetto attivo del reato è punibile non già per l'effetto dell'automatismo derivante dalla malattia mentale della vittima, ma per aver indotto costei al compimento di atti sessuali abusando di tale condizione di inferiorità: l'induzione punibile, attuata mediante l'abuso nei confronti del soggetto che si trovi in stato di «inferiorità fisica o psichica», non si configura come attività di persuasione, cui corrisponde la «volontaria» adesione del soggetto più debole, bensì come vera e propria sopraffazione nei confronti della vittima; la quale non è in grado di aderire perché convinta, ma soggiace al volere del soggetto attivo, ridotta a strumento di soddisfazione delle sue voglie. (Nella specie la S.C. ha osservato che la punibilità degli atti sessuali non è stata individuata nel mero fatto della «infermità mentale» della vittima, bensì nella condotta dell'imputato, manifestamente abusiva rispetto alla inferiorità psichica della donna, resa evidente dalla sua totale incapacità di intendere e di volere, che non poteva non essere conosciuta dall'imputato — vicino per vincoli di parentela al contesto familiare della vittima — «fin dal momento» in cui decise di avvicinare la ragazza).

(massima n. 2)

La privazione della libertà, attuata in danno del soggetto passivo della violenza sessuale con lo «specifico fine di libidine», previsto dall'abrogato art. 523 c.p. (ratto a fine di libidine) e, tuttavia, protratta per un tempo non coincidente con quello di consumazione della violenza sessuale, è tuttora punibile come ipotesi di sequestro di persona ai sensi dell'art. 605 c.p., poiché, al di là del fine perseguito, il soggetto che priva un altro della libertà personale non può andare esente da pena.

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