Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 3547 del 9 marzo 1989

(2 massime)

(massima n. 1)

L'uso generalizzato di un marchio nel linguaggio comune per indicare tutto il genere dei prodotti analoghi a quello, per il quale lo stesso marchio è stato registrato, può certamente incidere sull'elemento soggettivo del reato, inducendo il venditore in errore sulla reale volontà dell'acquirente, nel senso che essa sia indirizzata al genere e non alla specie. Perché tale situazione si realizzi, però, è necessario che sia stata acquisita la prova in ordine alla sussistenza di tale errore. (Nella specie, relativa a ritenuta sussistenza del reato di frode nell'esercizio del commercio, non soltanto difettava tale prova, ma lo stesso imputato aveva ammesso di aver consegnato l'aliud pro alio non perché si fosse ingannato sulla reale intenzione dell'acquirente, ma perché non disponeva del prodotto richiesto).

(massima n. 2)

La popolarità raggiunta dal marchio di un prodotto non fa venir meno il diritto del titolare all'uso esclusivo del marchio medesimo, salvo che dal suo comportamento possa desumersi con certezza un'acquiescenza all'uso da parte di terzi, ovvero la rinunzia a valersi in via esclusiva del marchio

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