Cassazione penale Sez. I sentenza n. 2509 del 22 febbraio 1990

(3 massime)

(massima n. 1)

In tema di accertamento del dolo omicida, nel caso in cui il fatto sia commesso con arma da sparo, la volontà omicida non deve necessariamente manifestarsi con l'esplosione di tutti i colpi di cui l'agente e l'arma siano dotati, quando sia accertato che il colpo sparato sarebbe stato sufficiente a determinare la morte, se non fossero intervenuti fatti indipendenti dalla volontà dello stesso agente.

(massima n. 2)

Nel caso di reato commesso in stato di ebbrezza alcoolica non accidentale né preordinata, ai fini dell'affermazione della responsabilità dell'agente, è decisivo l'atteggiamento psichico, sia pure abnorme, al momento in cui il fatto si è verificato: trattandosi di delitto doloso, la responsabilità del soggetto deve essere esclusa soltanto se risulti in concreto che il fatto è stato commesso per colpa o comunque non è stato voluto.

(massima n. 3)

Non è giuridicamente illogica l'individuazione dello stato di ebbrezza alcoolica quale causale del reato, poiché la piena imputabilità dell'agente sancita dall'art. 92 c.p. nonostante l'alterazione psichica conseguente alla ubriachezza volontaria o colposa, costituisce mera finzione giuridica imposta dalla necessità di difesa sociale, mentre permane sul piano naturalistico tale alterazione, che, soggiogando più o meno compiutamente le facoltà intellettive e volitive del soggetto, può essa stessa costituire causa efficiente del reato e la ratio della sua punizione. (Fattispecie in tema di tentato omicidio).

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