Cassazione penale Sez. IV sentenza n. 4981 del 6 febbraio 2004

(3 massime)

(massima n. 1)

In quanto titolari di distinte posizioni di garanzia, rispondono del reato di omicidio colposo plurimo, per la morte dei pazienti avvenuta a causa del fuoco sviluppatosi all'interno della camera iperbarica in cui si trovavano per eseguire la ossigenoterapia, i due amministratori delegati della clinica, il primario del reparto di ossigenoterapia, nonché il tecnico addetto al quadro comandi della camera iperbarica, i primi due per non aver adottato un completo e coerente documento di valutazione del rischio insito nell'utilizzo della camera iperbarica e per non aver sorvegliato e controllato sull'esatto adempimento degli obblighi di sicurezza e, gli altri, per non aver predisposto ed attuato un efficace sistema di controlli per evitare che venissero introdotti nella camera iperbarica oggetti che potessero costituire una possibile causa di innesco del fuoco e per non avere adottato efficaci misure di prevenzione e di protezione per evitare il sorgere del fuoco e per consentirne l'immediato spegnimento. (La Corte ha affermato che il problema della spiegazione dell'intero meccanismo eziologico si pone soltanto nei casi in cui l'ipotesi non controllata si riferisca ad un meccanismo causale non addebitabile all'imputato, mentre nel caso di specie, avendo i giudici di merito accertato che la causa dell'accensione e del propagarsi del fuoco era dipeso, in termini di elevata probabilità razionale, da uno scaldamani che una paziente, in assenza dei necessari controlli, aveva portato con sé all'interno della camera iperbarica e, inoltre, che il sistema antincendio, collegato alla stessa camera iperbarica, non era completamente efficiente, non ha alcuna rilevanza accertare in termini scientifici il preciso meccanismo di innesco).

(massima n. 2)

In tema di causalità nei reati omissivi impropri il giudice, nell'accertare se l'evento sia conseguenza dell'omissione compie una ricostruzione logica fondata, non su una concatenazione di fatti materiali esistenti nella realtà ed empiricamente verificabili, ma su ipotesi, dando luogo ad una causalità normativa, basata su un giudizio controfattuale, alla quale si fa ricorso per ricostruire una sequenza che non potrà mai avere una verifica fenomenica, verifica che invece nella causalità commissiva è spesso, ma non sempre praticabile.

(massima n. 3)

Per la configurabilità del reato di incendio colposo, il fuoco, causato dalla condotta imprudente e negligente dell'agente, deve essere caratterizzato dalla vastità delle proporzioni, dalla tendenza a progredire e dalla difficoltà di spegnimento, restando irrilevante che resti circoscritto entro un limite oltre il quale non possa estendersi; in presenza di tali caratteristiche il giudice, il cui accertamento di fatto non è sindacabile in sede di legittimità se condotto con criteri non illogici, deve prescindere dall'accertamento di un pericolo concreto, in quanto nel reato in questione il pericolo per la pubblica incolumità è presunto. (Nel caso di specie l'incendio si era sviluppato all'interno di una camera iperbarica, entro cui si trovavano alcuni pazienti sottoposti al trattamento di ossigenoterapia, e la Corte ha ritenuto sussistente il reato di incendio colposo in presenza di un fuoco che si era propagato in maniera particolarmente rapida e aggressiva e che si era spento in pochi minuti, senza che avesse la possibilità di estendersi ulteriormente).

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