Cassazione penale Sez. III sentenza n. 2149 del 12 giugno 1996

(1 massima)

(massima n. 1)

Il fondamento costituzionale della «scusa» della inevitabile ignoranza della legge penale vale prima di tutto per chi versa in condizioni soggettive di sicura inferiorità e non può certo essere strumentalizzato per coprire omissioni di controllo o atteggiamenti indifferenti di soggetti dai quali, per la loro elevata condizione sociale e tecnica, sono esigibili particolari comportamenti realizzativi di obblighi strumentali di diligenza nel conoscere le leggi penali; l'ipotesi di un soggetto sano e maturo di mente che commetta fatti criminosi ignorandone la antigiuridicità è concepibile soltanto quando si tratti di reati che, sebbene presentino un generico disvalore sociale, non siano sempre e dovunque previsti come illeciti penali, ovvero di reati che non presentino neppure un generico disvalore sociale. In relazione a tali categorie di reati possono essere prospettate due ipotesi: quella in cui il soggetto si rappresenti effettivamente la possibilità che il suo fatto sia antigiuridico e quella in cui tale possibilità non si rappresenti neppure; mentre nella prima di dette ipotesi esistendo, in concreto, più che la possibilità di conoscenza dell'effettiva illiceità del fatto, la concreta previsione di essa, non può ravvisarsi ignoranza inevitabile della legge penale (dovendo il soggetto risolvere il «dubbio eventuale» attraverso l'esatta conoscenza della specifica norma o, in caso di soggettiva invincibilità di esso, astenersi dall'azione), nella seconda ipotesi è riservato al giudice il compito di una valutazione attenta delle ragioni per le quali l'agente, che ignora la legge penale, non si è neppure prospettato un dubbio sulla illiceità del fatto e, se l'assenza di simile dubbio risulti discendere — in via principale — da personale ed incolpevole mancanza di socializzazione dello stesso, l'ignoranza della legge penale va, di regola, ritenuta inevitabile.

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