Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 1295 del 2 giugno 1994

(2 massime)

(massima n. 1)

Il pericolo di fuga che legittima una misura cautelare deve essere, secondo l'art. 274, lett. b), c.p.p., «concreto», ossia oggettivo ed effettivo, nel senso di trovare uno stretto legame nella realtà di fatto. Ciò implica che la ragionevole valutazione del giudice sulla probabilità che l'indagato possa far perdere le proprie tracce e sottrarsi all'eventuale consegna allo Stato richiedente (art. 714, comma 2, ultima parte c.p.p.), debba essere ancorato ad elementi reali e non eventuali ed ipotetici, secondo le astratte possibilità degli accadimenti umani.

(massima n. 2)

Nel procedimento di estradizione, se è vero che la condotta processuale dell'indagato può fornire significativi elementi di valutazione, non può assumersi come unica ragione di prognosi negativa l'ordinario e fisiologico esercizio di una facoltà riconosciuta dall'ordinamento giuridico. Ne consegue che non può essere valutato, ai fini della adozione delle misure coercitive di cui all'art. 714 c.p.p., come elemento sintomatico della volontà di fuga il mancato consenso ad essere estradato, non sussistendo per l'indagato alcun dovere ed onere di consentire alla richiesta di estradizione (art. 701 c.p.p.).

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