Cassazione penale Sez. V sentenza n. 36028 del 7 settembre 2004

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di c.d. “patteggiamento in appello”, il giudice, pur essendo indubbiamente tenuto a rilevare l'eventuale sussistenza di condizioni che impongano il proscioglimento dell'imputato ai sensi dell'art. 129 c.p.p., non è tuttavia tenuto, nell'accogliere la richiesta delle parti, a motivare circa la mancata adozione di siffatta pronuncia in quanto, a causa dell'effetto devolutivo, una volta che lo stesso imputato abbia rinunciato ai motivi d'impugnazione, la cognizione del giudice d'appello è limitata esclusivamente ai motivi non rinunciati, relativi al regime sanzionatorio.

(massima n. 2)

In tema di patteggiamento in appello (art. 599, comma quarto, c.p.p.), il giudice, nell'accogliere la richiesta delle parti, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento per taluna delle cause previste dall'art. 129 c.p.p., in quanto, in virtù dell'effetto devolutivo, una volta che lo stesso imputato abbia rinunciato ai motivi di impugnazione, la cognizione è limitata esclusivamente ai motivi non rinunciati, riguardanti proprio il regime sanzionatorio; tuttavia, il giudice deve rilevare l'eventuale sussistenza delle condizioni che impongano il proscioglimento dell'imputato, dando atto della verifica a tal fine compiuta con sintetica enunciazione. Ne consegue che la doglianza relativa alla mancata applicazione dell'art. 129 c.p.p. non può risolversi in una denuncia di mera omissione formale o di genericità di tale delibazione, ma deve contenere necessariamente l'indicazione di elementi concreti che, ove rettamente considerati e valutati, avrebbero condotto ad una declaratoria d'ufficio di proscioglimento. (Nella specie la S.C. ha ritenuto corretta l'espressione adottata dal giudice di merito «non sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 129, comma secondo, c.p.p.»).

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