Cassazione penale Sez. I sentenza n. 5579 del 4 giugno 1996

(3 massime)

(massima n. 1)

In forza del principio di impersonalità del pubblico ministero stabilito dall'art. 570 del c.p.p., ed in virtù delle disposizioni contenute in detta norma, deve ritenersi pienamente legittima l'impugnazione proposta dal rappresentante del pubblico ministero che in udienza ha formulato conclusioni conformi a quelle fatte proprie dal giudice che ha emesso la sentenza impugnata.

(massima n. 2)

L'art. 582 c.p.p. prevede che l'atto di impugnazione possa essere presentato «a mezzo di incaricato» il quale deve essere indicato sull'atto stesso del pubblico ufficiale addetto alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento. Nel caso di appello da parte del P.M., il procuratore della Repubblica può avvalersi di tale disposizione dando incarico a persona appartenente al suo ufficio (quale può essere anche un commesso). La circostanza che il nominativo dell'incaricato non venga più menzionato dal funzionario di cancelleria il quale si limiti ad indicare solamente la qualifica del soggetto, a lui nota, non può comportare l'inammissibilità dell'appello. Non può invero porsi a carico della parte, che abbia correttamente adempiuto agli oneri relativi ad un atto determinato stabiliti dalla legge a suo carico, l'inottemperanza di regole che devono essere osservate dai funzionari preposti alla ricezione dell'atto stesso.

(massima n. 3)

La possibilità di rinnovazione del dibattimento in appello, stabilita dall'art. 603 c.p.p., non viola il criterio del doppio grado di giurisdizione stabilito dalla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo — approvata a Strasburgo il 22 novembre 1984 e resa esecutiva con L. 9 aprile 1990 n. 98 — posto che le nuove prove assunte in secondo grado integrano e si coordinano con gli elementi già acquisiti nel primo giudizio, che il giudice di appello deve valutare congiuntamente ai nuovi.

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