Cassazione penale Sez. Unite sentenza n. 6402 del 2 luglio 1997

(4 massime)

(massima n. 1)

Al parziale accoglimento dell'impugnazione dell'imputato deve conseguire l'esclusione della sua condanna alle spese del procedimento di impugnazione. (Fattispecie nella quale la Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza di merito che erroneamente aveva condannato alle spese l'imputato appellante, del quale era stato accolto in parte l'appello con riferimento ai capi civili della domanda).

(massima n. 2)

È manifestamente infondata, in riferimento all'art. 24, comma secondo, Cost. e all'art. 6, comma terzo, lett. d) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 192 e 513 c.p.p., nella parte in cui esso consente al giudice di acquisire, in determinati casi, gli interrogatori resi dall'imputato di reato connesso al di fuori del contraddittorio delle parti, in quanto, dopo le sentenze n. 254 del 1992, nn. 60 e 381 del 1995 della Corte costituzionale, il testo dell'art. 513 c.p.p. rappresenta la norma base per il recupero dibattimentale di dichiarazioni rese precedentemente al fine di contemperare il rispetto del principio guida dell'oralità con l'esigenza di evitare la perdita, ai fini della decisione, di quanto acquisito prima del dibattimento e che sia irripetibile in tale sede. (In motivazione, la S.C., nel sottolineare che, ai fini del profilo di legittimità costituzionale della norma in questione, appare del tutto irrilevante la circostanza che penda in Parlamento un disegno di modificazione legislativa di essa, ha affermato che le dichiarazioni rese nel quadro di cui all'art. 210 c.p.p. provengono da una posizione di inviolabilità di difesa e di garanzia posta ad esclusivo presidio del dichiarante e che, pertanto, esse sono sottoposte dalla legge al canone valutativo di cui all'art. 192, commi terzo e quarto, c.p.p., il quale non solo non consente, ma addirittura vieta al giudice di fondare il convincimento di responsabilità penale esclusivamente sulla chiamata in correità, imponendogli di valutarla unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità).

(massima n. 3)

Il travisamento del fatto è un vizio che in tanto può essere oggetto di valutazione e di sindacato in sede di legittimità, in quanto risulti inquadrabile nelle ipotesi tassativamente previste dall'art. 606, lett. e) c.p.p.; l'accertamento di esso richiede, pertanto, la dimostrazione, da parte del ricorrente, dell'avvenuta rappresentazione, al giudice della precedente fase di impugnazione, degli elementi dai quali quest'ultimo avrebbe dovuto rilevare il detto travisamento, sicché la Corte di cassazione possa, a sua volta, desumere dal testo del provvedimento impugnato se e come quegli elementi siano stati valutati.

(massima n. 4)

La disposizione dell'art. 570, comma terzo, c.p.p., in virtù della quale il rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni e che ne fa richiesta nell'atto di appello, può partecipare al successivo grado di giudizio, previo provvedimento autorizzativo del procuratore generale della Repubblica, in qualità di sostituto di quest'ultimo, è da considerare eccezionale e, come tale, di stretta interpretazione. Ne consegue che il predetto rappresentante del P.M. non è legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale, che aveva impugnato la sentenza emessa dalla corte d'appello all'esito del giudizio al quale egli aveva partecipato in veste di sostituto del procuratore generale della Repubblica).

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