Cassazione penale Sez. Unite sentenza n. 2110 del 23 febbraio 1996

(2 massime)

(massima n. 1)

Il delitto di calunnia può essere commesso non solo nella forma diretta, cioè attraverso una denuncia presentata all'autorità giudiziaria, ma anche in forma indiretta, cioè attraverso una segnalazione del fatto-reato a un'altra autorità che a quella giudiziaria ha l'obbligo di riferire; ed è configurabile non solo quando si riferiscono fatti dei quali si assume di aver avuto una diretta percezione, ma anche allorquando si rappresentano quei fatti come oggetto di altrui conoscenze o addirittura predisponendo maliziosamente quanto sia sufficiente perché possa profilarsi la necessità di avviare determinate indagini nei confronti di soggetti della cui innocenza si è così certi da dover ricorrere all'artificiosa creazione della prova della loro responsabilità. (Fattispecie nella quale il ricorrente, nel quale doveva identificarsi la fonte di una notizia calunniosa fatta pervenire ai servizi di sicurezza, lamentava l'impossibilità di configurare a suo carico il delitto di cui all'art. 368 c.p., sul rilievo — ritenuto, peraltro, corretto dalla S.C. — che, a norma dell'art. 9, comma terzo, della legge 24 ottobre 1977 n. 801, soltanto i direttori dei servizi di sicurezza, e non altri, sono obbligati a fornire ai competenti organi di polizia giudiziaria le informazioni e gli elementi di prova relativi ai fatti configurabili come reato).

(massima n. 2)

Una volta che sia stata pronunciata, a seguito dell'abolizione della formula dubitativa, assoluzione ai sensi dell'art. 530, comma secondo, c.p.p., avendo il giudice ritenuto insufficienti le prove acquisite, viene meno qualunque apprezzabile interesse dell'imputato al conseguimento di una più favorevole sentenza, in quanto la conclusiva statuizione in essa contenuta non può essere modificata, quale che sia il giudizio esprimibile sulla prova della responsabilità dell'accusato, e cioè sia che sia stata acquisita la prova positiva della sua innocenza, sia che la prova della sua responsabilità si sia rivelata soltanto insufficiente. Ed invero l'interesse all'impugnazione, sebbene non possa essere confinato nell'area dei soli pregiudizi penali derivanti dal provvedimento giurisdizionale, neanche può essere concepito come aspirazione soggettiva al conseguimento di una pronuncia dalla cui motivazione siano rimosse tutte quelle parti che possono essere ritenute pregiudizievoli, perché esplicative di una perplessità sull'innocenza dell'imputato. Difatti, l'impugnazione si configura pur sempre come un rimedio a disposizione della parte per la tutela di posizioni soggettive giuridicamente rilevanti, e non già di interessi di mero fatto, non apprezzabili dall'ordinamento giuridico. (Fattispecie relativa a procedimento che proseguiva con l'osservanza delle norme dell'abrogato codice di procedura penale).

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