Cassazione penale Sez. III sentenza n. 6208 del 26 giugno 1997

(2 massime)

(massima n. 1)

Anche per i reati imputati ai sensi dell'art. 40 cpv. l'elemento psicologico si configura secondo i principi generali, sicché è sufficiente che il «garante» abbia conoscenza dei presupposti fattuali del dovere di attivarsi per impedire l'evento e si astenga, con coscienza e volontà, dall'attivarsi, con ciò volendo o prevedendo l'evento (nei delitti dolosi) o provocandolo per negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme (nei delitti colposi e nelle contravvenzioni in genere). (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto priva di fondamento giuridico la tesi secondo cui l'imputato doveva essere assolto perché difettava il dolo nei delitti e la colpa nelle contravvenzioni, osservando che non v'era dubbio che l'amministratore titolare conosceva i suoi doveri giuridici di vigilare sul comportamento dell'amministratore di fatto e aveva coscientemente omesso di esercitarli, con ciò accettando il rischio che l'amministratore effettivo commettesse i reati tributari che egli aveva il dovere di impedire).

(massima n. 2)

Qualora nella sentenza di condanna i fatti di reato (nella specie omessa annotazione di corrispettivi nelle scritture contabili, omessa dichiarazione dei redditi ai fini delle imposte dirette e ai fini Iva, omessa dichiarazione di sostituto di imposta, omesso versamento all'erario delle ritenute fiscali operate) corrispondano a quelli contestati nell'imputazione, nessuna violazione del principio di cui all'art. 521 c.p.p. (correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza) è ravvisabile sul rilievo che una diversità tra fatti contestati e fatti giudicati risieda nel rapporto di causalità, che sarebbe diretta e reale nei primi e solo indiretta e ipotetica nei secondi ai sensi dell'art. 40 cpv. c.p.: infatti è proprio l'equivalenza tra causalità diretta o reale e causalità indiretta o ipotetica stabilita da questa norma che esclude quella diversità. (La Suprema Corte ha osservato altresì che non era vero che i giudici di merito non avevano spiegato quale obbligo di impedire l'evento avesse l'imputato ai sensi dell'art. 40 cpv. c.p.: questo obbligo giuridico gli derivava - e quei giudici l'avevano rilevato - dalla sua carica formale di amministratore unico della società, che lo costituiva in una posizione di garanzia rispetto ai beni penalmente tutelati dalla legge n. 516 del 1982, cioè rispetto alla trasparenza e correttezza contabile in funzione degli obblighi tributari della società, poiché come amministratore formale egli aveva l'obbligo di vigilare e impedire all'amministratore di fatto di commettere i reati menzionati).

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