Cassazione civile Sez. II sentenza n. 3013 del 10 febbraio 2006

(2 massime)

(massima n. 1)

Poiché la collazione ha la funzione di assicurare nella divisione della massa attiva del patrimonio del de cuius l'osservanza delle quote spettanti agli eredi — estendendo l'art. 737 c.c. ai figli, ai loro discendenti e al coniuge l'obbligo del conferimento di ciò che hanno ricevuto in vita dal defunto per donazione senza attribuire alcun rilievo alla loro qualità o meno di legittimari — l'istituto opera sia nella successione legittima sia in quella testamentaria, secondo quanto si desume anche dallo specifico riferimento contenuto nell'originaria formulazione dell'art. 737 c.c. alla facoltà del testatore di dispensare l'erede dalla collazione.

(massima n. 2)

Tenuto conto che la collazione tende unicamente ad evitare disparità di trattamento fra gli eredi non ricollegabili alla volontà del de cuius la relativa disciplina legale non ha carattere inderogabile né sotto il profilo oggettivo né sotto quello soggettivo, anche se l'imposizione dell'obbligo della collazione disposto dal testatore si configura come imposizione di un legato, sicché il correlativo obbligo degli eredi tenuti al conferimento incontra il solo limite del rispetto della quota di riserva, ai fini della cui determinazione - fermo il divieto posto dall'art. 549 c.c. di imporre su di essa pesi o condizioni - i legittimari devono comunque imputare, ai sensi dell'art. 553 c.c., ed in conformità di quanto previsto nella clausola testamentaria impugnata, quanto hanno ricevuto dal de cuius in virtù di donazioni o legati (Nella specie è stata ritenuta legittima la disposizione testamentaria con cui il de cuius aveva imposto ai legittimari - figli e coniuge - istituiti nella quota loro riservata per legge l'obbligo di conferire ai coeredi - nipoti ex filio ai quali era stata attribuita la disponibile - quanto ricevuto in vita dal de cuius a titolo di liberalità).

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