Cassazione penale Sez. III sentenza n. 2542 del 17 marzo 1997

(1 massima)

(massima n. 1)

Nel nostro sistema processuale, pur avendo l'organo decidente carattere di terzietà, ha un residuale potere officioso di integrazione probatoria al fine di colmare le lacune lasciate dalle emergenze acquisite su impulso delle parti. Invero il giudice, ex art. 507 c.p.p., può disporre nuove prove, avendo come criterio direttivo e discretivo l'assoluta necessità di completamento delle acquisizioni emerse nell'istruzione dibattimentale: in tal modo il giudice supera l'inerzia delle parti o può far propria un'iniziativa delle stesse formalmente scorretta. Pertanto, il mancato adempimento dell'onere di formulare la richiesta dei mezzi di prova nei modi e nei termini di legge non comporta l'impossibilità assoluta della loro assunzione, ma fa sì che la parte sia esposta alla decisione discrezionale del giudice. (Nella specie, relativa a rigetto di motivo di ricorso avverso l'ordinanza con la quale il pretore, attivando i suoi poteri di ufficio ex art. 507 c.p.p., aveva acquisito esclusivamente prove a sostegno dell'accusa e non quelle di segno opposto richieste dalla difesa, la S.C. ha altresì osservato che «Differente situazione si determina quando la parte ha fatto richiesta di una prova decisiva ai sensi dell'art. 495 comma secondo c.p.p.; in tale ipotesi, il diritto della prova, inopinatamente non ammessa, si sostanzia in un error in procedendo che consente il ricorso in Cassazione (art. 606 comma primo sub d c.p.p.)».

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