Cassazione penale Sez. I sentenza n. 9788 del 13 settembre 1994

(2 massime)

(massima n. 1)

L'art. 495, comma 2, c.p.p., sancisce il diritto dell'imputato all'ammissione delle prove da lui dedotte «a discarico» sui fatti costituenti oggetto della prova «a carico»; il diritto alla controprova, tuttavia, non può avere ad oggetto l'espletamento di una perizia, mezzo di prova per sua natura neutro e, come tale, non classificabile né «a carico» né «a discarico» dell'accusato, oltreché sottratto al potere dispositivo delle parti e rimesso essenzialmente al potere discrezionale del giudice la cui valutazione, se assistita da adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità; deve conseguentemente negarsi che l'accertamento peritale possa ricondursi al concetto di «prova decisiva» la cui mancata assunzione costituisce motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, lettera d), c.p.p.

(massima n. 2)

Poiché la circostanza aggravante della premeditazione è suscettibile di un unico, definito significato e non richiede, ai fini di una compiuta risposta difensiva, alcuna previa e dettagliata esplicazione, la sua contestazione nel decreto che dispone il giudizio, ai sensi dell'art. 429, comma 1, lettera c), c.p.p., eseguita mediante la enunciazione del suo nomen juris e l'indicazione del relativo riferimento normativo, deve considerarsi ritualmente avvenuta.

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